Nei primi mesi del 1945 Milano, come molte altre città italiane, cominciava faticosamente la sua rinascita dai disastri della II guerra mondiale. Tra gli artefici di questa rinascita fu figura di grande spicco morale e di operosità l’ arcivescovo di Milano cardinale Schuster.
Alfredo Ildefonso Schuster era nato a Roma da genitori bavaresi il 18 gennaio 1880. Dopo gli studi in filosofia nella capitale divenne monaco benedettino e poi sacerdote. Dopo l’ incarico di abate ordinario di San Paolo fuori le mura, fu nominato nel 1929 da papa Pio XI arcivescovo di Milano e nello stesso anno fu insignito della berretta cardinalizia. Fin dall’ inizio della sua missione scelse di essere sempre vicino alle necessità della gente, assiduo nell’ organizzare visite pastorali, sinodi diocesani e congressi eucaristici. Appoggiò il fascismo nell’ illusoria prospettiva di coinvolgerlo in una proficua collaborazione con la Chiesa cattolica, ma l’ approvazione da parte del regime delle leggi antirazziali nel settembre-novembre 1938 lo portò ad una decisa condanna del fascismo stesso.
Durante il periodo bellico continuò la sua opera di sostegno morale e materiale alla popolazione, sempre al di sopra delle posizioni dei belligeranti. Nelle ultime fasi concitate del conflitto tentò, inutilmente, di mediare tra partigiani e sostenitori di Mussolini per una resa pacifica di quest’ ultimo. Fu il primo presidente della Conferenza Episcopale italiana, fondata a Firenze nel 1952. Morì nel seminario di Venegono, da lui stesso voluto e inaugurato nel 1935, il 30 agosto 1954 e fu beatificato il 12 maggio 1996 da papa Giovanni Paolo II.
Venendo al tema in questione, si tratta di una delle molte operazioni gestite da Schuster nel periodo bellico e post-bellico per aiutare la popolazione lombarda. L’ evento è ben desumibile da una lettera che il cardinale inviò il 12 aprile 1945 a mons. Filippo Bernardini, allora Nunzio a Berna presso il governo svizzero. La lettera è riportata in molte biografie di Schuster; a me è stata fornita da Lorenzo Tonioli e Giorgio Brigà, che ringrazio (*documenti).
Dunque Schuster aveva chiesto e ottenuto dalla Santa Sede l’ invio a Milano di 7 autotreni da impiegare per l’approvvigionamento di grano per la città, ove le scorte erano ormai prossime all’ esaurimento col rischio di lasciare la popolazione senza pane. Gli autotreni erano stati prelevati da un ampio parco che il Vaticano aveva allestito, tra il 1943 e il 1945, per analoghi impieghi a Roma, ovvero l’ aiuto alle popolazioni in difficoltà. Di questi mezzi ho trattato sia nel mio libro che nel paragrafo sulla targa SCV 455. Gli autotreni inviati a Milano avevano targhe vaticane di tipo 1, dunque targa anteriore quadrata alta e larga mm. 160 e targa posteriore quadrata di mm. 270. I rimorchi avevano targa propria dello stesso tipo, con numero d’ immatricolazione distinto rispetto a quello della motrice.
Nella stessa data della lettera, il 12 aprile, la colonna di autotreni iniziò la sua missione, secondo itinerari e spostamenti indicati nella lettera stessa.
La quantità di grano da trasportare doveva essere molto consistente dal momento che Schuster aveva provveduto a procurarsi altri autotreni. Furono probabilmente ottenuti da privati e da enti commerciali. Il porporato si era reso conto del rischio di aggressione che potevano correre i mezzi con targa italiana, per cui trovò una soluzione intelligente: sostituire le targhe originali con targhe vaticane. Non avendo modo e tempo di procurarsele, decise di assegnare a questi mezzi gli stessi numeri di targa dei precedenti. Si intuisce che le targhe vaticane le fece preparare dipingendo i caratteri neri su idonea lamiera bianca, e per distinguere i nuovi mezzi dai precedenti il numero era preceduto “da I (numero romano e sbarra)”:
S.C.V. S.C.V.
3 4 5 I / 345
La lettera contiene le indicazioni su itinerari , orari di viaggio ed elementi distintivi dei mezzi. Questi ultimi erano tre: targa vaticana; due piccole bandiere, ben visibili, anteriori, con colori vaticani; verniciatura in bianco e giallo. Si comprende il motivo per il quale la lettera era indirizzata, come il carteggio precedente, al nunzio a Berna: questi teneva i contatti con gli alleati per conto della Santa Sede e avrebbe appunto informato gli alleati stessi sul transito delle colonne.
Per quanto concerne gli autotreni, non esistono immagini esplicative. La foto a/440 (Tonioli) sembra però riprodurre proprio i mezzi lombardi: il paesaggio montuoso infatti non è certo romano.
foto a
Si individuano complessivamente una decina di autocarri, di cui il più interessante è il secondo da destra: si tratta di un Fiat 634N con targa anteriore vaticana tipo 1. Si notano anche le aste sul paraurti per le bandierine vaticane. Nella foto b/441 (Larsson) l’ autocarro SCV 141 presenta quella che dovrebbe essere la tipica verniciatura bianco-gialla: la parte sinistra del cassone è bianca, rapportandola al colore della targa, mentre la parte destra è presumibilmente gialla; i colori della cabina appaiono invertiti.
foto b
Da Toniolo ho ricevuto anche (foto 446) l’immagine, datata 31 maggio 1945, che rientra nell’ argomento qui trattato. Si tratta di uno dei mezzi di un’ autocolonna vaticana che, partita da Milano, andava a rifornire Trieste, in piena emergenza umanitaria, di farina, mais ed olio. L’autocarro, Alfa Romeo modello 800, riporta la scritta “Autocolonna Vaticano / viveri per Trieste". Non si vede la targa, che potrebbe essere collocata sul lato sinistro del paraurti, come potrebbe mancare del tutto per un motivo ignoto.
E' risaputo che altri convogli furono allestiti in Vaticano nel 1944 per portare aiuti alimentari nel nord Italia. Uno di questi, composto di ben 52 autocarri, fu intercettato dall'aviazione alleata il 29 aprile 1944 presso Cetona (Siena) e fu bombardato. I due mezzi targati SCV 301 e SCV 315 furono distrutti e un'altra decina di mezzi subì danni di varia entità (Mark Axworthy, GB).